- Cos’è la chemioterapia?
- Durata dei cicli di chemioterapia
- Obiettivi della chemioterapia
- Cosa si intende per prima linea e seconda linea?
- Chemioterapia di prima linea in pazienti in cui non è identificabile un target molecolare
- Chemioterapia in pazienti fragili e anziani
- Come si valuta l’efficacia del trattamento chemioterapico?
- Terapia di mantenimento
- Chemioterapia di seconda linea in pazienti in cui non è identificabile un target molecolare
- Altri farmaci non chemioterapici
Cos’è la chemioterapia?
Per chemioterapia antineoplastica, più comunemente chiamata solo chemioterapia, si intendono quei farmaci antitumorali che vanno a interferire con la riproduzione delle cellule tumorali.
Le cellule tumorali si replicano molto più velocemente rispetto ad altre cellule e i farmaci chemioterapici vanno a uccidere le cellule tumorali mentre si dividono. Proprio per questo motivo sono efficaci soprattutto contro i tumori che hanno una veloce crescita.
Durata dei cicli di chemioterapia

La somministrazione dei farmaci chemioterapici avviene a cicli. Un ciclo di trattamento si compone dai giorni in cui viene somministrato il farmaco e il periodo di riposo che segue, fino alla ripresa del successivo ciclo.
L’intervallo tra i due cicli permette al corpo di riprendersi dagli effetti collaterali. Tra un ciclo e l’altro il paziente effettua gli esami del sangue per valutare la tossicità sui globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine.
La chemioterapia va eseguita in più cicli perché non tutte le cellule tumorali si replicano nello stesso momento e ci sono sempre delle cellule in fase quiescente ossia “a riposo” che non vengono colpite durante il primo trattamento.
La durata della chemioterapia è variabile, ma generalmente dura da 3 a 6 mesi, con la somministrazione di 3-4 a 6-8 cicli di trattamento.
Obiettivi della chemioterapia
- Chemioterapia neoadiuvante: viene effettuata prima di un intervento chirurgico, con lo scopo di ridurre il volume della massa tumorale.
- Chemioterapia adiuvante: viene attuata dopo l’operazione chirurgica per ridurre il rischio di recidiva, eliminando le eventuali cellule tumorali che si sono diffuse in altre zone del corpo.
- Chemioterapia esclusiva: viene somministrata come terapia unica.
- Chemioterapia palliativa: viene utilizzata per contenere o ritardare la crescita del tumore e prolungare la sopravvivenza.
Cosa si intende per prima linea e seconda linea?
Per prima linea si intende il trattamento chemioterapico che viene somministrato ai pazienti con malattia metastatica e che non hanno mai effettuato una chemioterapia.
Per terapia di mantenimento si intende il trattamento successivo a quello di prima linea. Si somministra nei pazienti senza evidenza di progressione di malattia dopo aver eseguito la prima linea di chemioterapia. Di solito si procede con uno dei farmaci eseguiti durante la prima linea. L’obiettivo è quello di mantenere il massimo beneficio ottenuto (di solito dopo 4 cicli di prima linea).
Per seconda linea si intende il trattamento successivo a quello di prima linea e che viene iniziato al momento della progressione della malattia durante o dopo aver eseguito la prima linea di terapia. Possono susseguirsi i trattamenti di terza e quarta linea, o successive linee utilizzando farmaci diversi.
Chemioterapia di PRIMA LINEA in pazienti negativi per la mutazione di EGFR, la traslocazione di ALK o il riarrangiamento di ROS1, e con PD-L1<50%
La scelta della terapia di prima linea è basata sulle comorbidità del paziente, cioè la presenza di eventuali patologie concomitanti, come il diabete o problemi cardiaci, le tossicità attese, la compliance del paziente stesso e l’istologia.
Nei pazienti in buone condizioni generali, il trattamento chemioterapico standard si basa su una doppietta (due farmaci), composta da sali di platino (cisplatino o carboplatino), a cui si associa un secondo farmaco, scelto tra gemcitabina, pemetrexed, docetaxel, paclitaxel o vinorelbina. Sono terapie che si somministrano in vena. Un ciclo si ripete ogni 3 settimane. Nel caso di un regime contenente gemcitabina o vinorelbina, dopo 7 giorni dall’avvio del ciclo, il paziente riceve il richiamo con la sola gemcitabina o vinorelbina.
La probabilità di ottenere, attraverso un trattamento farmacologico, una riduzione significativa nelle dimensioni delle lesioni tumorali è complessivamente intorno al 35-40%.
Dagli studi, in cui il cisplatino è stato confrontato con il carboplatino, è emersa una maggiore efficacia del cisplatino rispetto al carboplatino, associata però ad una maggiore tossicità (principalmente renale e neurologica sensitiva periferica del cisplatino, rispetto al carboplatino).
Gli studi di confronto delle diverse doppiette hanno dimostrato una efficacia pressoché sovrapponibile di gemcitabina, docetaxel, paclitaxel e vinorelbina. Tuttavia, il confronto tra cisplatino-gemcitabina con cisplatino-pemetrexed ha dimostrato un vantaggio del pemetrexed nei pazienti con istotipo non squamoso (adenocarcinoma e carcinoma a grandi cellule) rispetto a quelli con istologia squamosa. Il motivo di questa differenza in efficacia è da ricercare nella diversa biologia della malattia. Mentre, infatti, i pazienti con istologia non squamosa presentano bassi livelli di timidilato sintetasi, un enzima coinvolto nel meccanismo d’azione del pemetrexed, quelli con istotipo squamoso esprimono alti livelli di timidilato sintetasi, che conferisce, quindi, resistenza al pemetrexed.
Un’altra opzione terapeutica è l’aggiunta, alla doppietta contenente cisplatino-gemcitabina o carboplatino-paclitaxel, di un terzo farmaco antivascolare, il bevacizumab. Per motivi di sicurezza, il bevacizumab si può prescrivere solo in pazienti con adenocarcinoma. Infatti, essendo le localizzazioni di malattia nei pazienti con istotipo squamoso prevalentemente a ridosso dei bronchi principali, si è visto che la somministrazione di bevacizumab incrementa il rischio di sanguinamento polmonare in questi pazienti. Pur essendoci dati sull’efficacia dell’aggiunta di bevacizumab alla combinazione di cisplatino-pemetrexed o di carboplatino-pemetrexed, per motivi legislativi, ad oggi in Italia non è possibile ricevere questa associazione all’interno dei trattamenti eseguiti in regime di Servizio Sanitario Nazionale.
I risultati di due studi di fase III, lo studio KEYNOTE 407 e lo studio KEYNOTE 189, hanno modificato lo scenario terapeutico. Entrambi gli studi sono stati disegnati per valutare il vantaggio dell’aggiunta del pembrolizumab alla chemioterapia contenente platino in prima linea.
Lo studio KEYNOTE 407 ha arruolato 559 pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule metallico ad istologia squamosa che sono stati randomizzati tra carboplatino-paclitaxel (o nab-paclitaxel) in associazione a pembrolizumab o carboplatino-paclitaxel (o nab-paclitaxel) in associazione al placebo. La combinazione di chemioterapia e immunoterapia ha determinato una riduzione del rischio di morte del 36% e una riduzione del rischio di progressione del 44%. Questo vantaggio si é osservato indipendentemente dall’espressione del PD-L1.
Lo studio KEYNOTE 189 ha arruolato 616 pazienti con diagnosi di tumore polmonare non a piccole cellule a istologia non squamosa e negativi per la mutazione di EGFR o il riarrangiamento di ALK. I pazienti sono stati randomizzati tra chemioterapia con platino-pemetrexed in combinazione a pembrolizumab o chemioterapia con platino-pemetrexed in combinazione al placebo. Anche in questo caso la terapia di combinazione ha determinato un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza e di sopravvivenza libera da progressione. I pazienti che hanno ricevuto chemioterapia e immunoterapia, infatti, hanno avuto una riduzione del rischio di morte del 51% e una riduzione del rischio di progressione del 48%. Il vantaggio si è osservato indipendentemente dai livello di espressione del PD-L1.
La combinazione di chemioterapia e immunoterapia diventa quindi una ulteriore opzione terapeutica. Nonostante in entrambi gli studi sia stato osservato un vantaggio significativo anche nei pazienti con PD-L1≥50%, non essendoci degli studi di confronto in questo sottogruppo tra il pembrolizumab in monoterapia e la combinazione di chemioterapia e immunoterapia, l’ente regolatorio italiano del farmaco ha deciso di non estendere l’indicazione ai pazienti con PD-L1≥50%, dove lo standard terapeutico resta il pembrolizumab in monoterapia.
Chemioterapia in pazienti fragili e anziani
Nel caso di pazienti fragili, per la concomitante presenza di comorbidità, o nei soggetti anziani (età > 75 anni), la terapia deve essere basata su farmaci con basso profilo di tossicità.
Si preferisce, quindi, avviare una chemioterapia con un singolo farmaco, scelto tra Gemcitabina e Vinorelbina, oppure con una doppietta, in cui al Carboplatino (a dosaggio lievemente ridotto rispetto allo standard) si associa la Gemcitabina, il Pemetrexed, la Vinorelbina o il Taxolo, selezionati sulla base dell’istologia e delle tossicità attese.
Come si valuta l’efficacia del trattamento chemioterapico?
Per valutare l’efficacia del trattamento chemioterapico, avviato dal paziente, si rivaluta la malattia tramite TC torace addome completo con mezzo di contrasto o PET ogni 2-3 cicli.
La scelta tra TC o PET dipende dal tipo di esame utilizzato per fotografare la malattia prima dell’avvio del primo ciclo di chemioterapia e che verrà confrontato con la TC o la PET eseguite dopo 2-3 cicli.
La PET è usata più raramente in quanto non raccomandata dalle linee guida, per i motivi di costi, però preferita in caso di malattia limitata al torace o in pazienti con insufficienza renale.
La PET non è indicata in pazienti con diabete scompensato perché la precisione dell’esame è inferiore.
Se gli esami strumentali mostrano una stabilità o una riduzione nel numero e nelle dimensioni delle lesioni, si prosegue con gli stessi farmaci fino ad un massimo di 4 cicli (raramente 6 nei pazienti che sono in risposta dopo 2 e 4 cicli e senza significativi effetti collaterali).
Terapia di mantenimento
Nei pazienti con istologia non squamosa che ricevono un trattamento chemioterapico di prima linea, che include una combinazione di sali di platino e Pemetrexed, a discrezione del clinico, in presenza di una malattia stabile o in risposta dopo 4 cicli, è possibile proseguire una terapia di mantenimento con il solo pemetrexed fino ad un’eventuale comparsa di tossicità inaccettabile o progressione di malattia. Infatti, la prosecuzione del pemetrexed di mantenimento al termine dei 4 cicli di platino pemetrexed, aumenta significativamente la sopravvivenza.
In alternativa, i pazienti che ricevono il bevacizumab, in aggiunta alla doppietta con sali di platino, possono proseguire il solo bevacizumab di mantenimento al termine dei 4 cicli di chemioterapia. Gli studi che hanno valutato l’efficacia del bevacizumab hanno, infatti, dimostrato un aumento della sopravvivenza globale e della sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo che intercorre tra l’avvio della prima linea di chemioterapia e la eventuale progressione di malattia, che obbliga l’inizio di un regime chemioterapico differente con un farmaco di seconda linea.
Chemioterapia di SECONDA LINEA in pazienti in cui non è identificabile un target molecolare
Quando la malattia progredisce, dopo un trattamento di prima linea, si può valutare l’avvio di una terapia di seconda linea. Questa progressione può accadere durante il trattamento di prima linea, durante il mantenimento (per i pazienti in cui è indicato) o dopo un periodo di controlli che si avviano in seguito al termine della prima linea (massimo 4-6 cicli di terapia).
I farmaci, attualmente approvati dall’Agenzia Italiana regolatoria del farmaco (AIFA) sono taxotere/docetaxel, pemetrexed, erlotinib, nivolumab, atezolizumab, pembrolizumab e la combinazione di docetaxel con nintedanib. La loro prescrivibilità dipende dall’istologia.
La scelta tra docetaxel e pemetrexed, entrambi farmaci endovenosi e la cui somministrazione avviene ogni 3 settimane, dipende appunto dall’istologia e dal tipo di farmaco, precedentemente associato ai sali di platino, durante il trattamento di prima linea. Infatti, pemetrexed è indicato nell’adenocarcinoma e, in termini di efficacia, risulta sovrapponibile a docetaxel in seconda linea.
Qualora, quindi, fosse stato già utilizzato in prima linea, la scelta cadrebbe su docetaxel. Qualora, invece, non fosse stato utilizzato, si preferirebbe pemetrexed perché, per motivi legislativi, quest’ultimo non potrebbe essere prescritto dopo la seconda linea e, inoltre, è meglio tollerato del docetaxel. Docetaxel può essere utilizzato anche in regime settimanale e sembra meglio tollerato rispetto alla somministrazione ogni 3 settimane.
Nintedanib è un inibitore del recettore del fattore di crescita endoteliare vascolare (VEGFR), del recettore del fattore di crescita fibroblastico (FGFR) e del recettore del fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR). Nintedanib può essere utilizzato in associazione a docetaxel per il trattamento di II linea dei pazienti con adenocarcinoma del polmone, in progressione a una I linea chemioterapica. La registrazione di questa combinazione deriva dai risultati dello studio Lume-Lung 1, uno studio di fase III, in cui l’associazione è stata confrontata con il docetaxel in monoterapia. La combinazione ha determinato un aumento della sopravvivenza globale, in assenza di un incremento degli effetti collaterali, rispetto al solo docetaxel.
Per conoscere gli effetti di nivolumab, pembrolizumab e atezolizumab e la loro prescrivibilità, vai alla sezione Immunoterapia.
Per conoscere gli effetti collaterali dei vari farmaci, vai sulla pagina effetti collaterali.
Altri farmaci non chemioterapici
Erlotinib ha un meccanismo d’azione differente rispetto a docetaxel e pemetrexed, in quanto è un farmaco a bersaglio molecolare contro il recettore EGFR. La sua azione è massima nei pazienti con mutazione del gene EGFR. Quando confrontato con la chemioterapia, è risultato meno efficace in termini di sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo che intercorre tra l’avvio della seconda linea di chemioterapia e la eventuale progressione di malattia, che obbliga l’inizio di un regime chemioterapico con un farmaco di terza linea.
Solo uno studio ha dimostrato anche una sopravvivenza globale più vantaggiosa per docetaxel rispetto ad erlotinib nei pazienti senza mutazione del gene EGFR. Tuttavia, erlotinib è associato ad una sopravvivenza superiore rispetto alla sola terapia di supporto anche in una popolazione di pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule, non selezionati per mutazione del gene EGFR.
Per scoprire gli effetti collaterali dei farmaci utilizzati in chemioterapia, vai alla pagina Effetti collaterali.
IRCCS Istituto di Candiolo, Torino
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