Gli inibitori del checkpoint immunitario PD-1/PD-L1, Pembrolizumab e Nivolumab, rappresentano ormai uno standard terapeutico nel trattamento dei pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule, sia in prima linea che nelle linee successive (vedi Immunoterapia).

Dati di laboratorio e studi su animali dimostrano che la chemioterapia e la radioterapia possono modificare la composizione delle cellule del sistema immunitario presenti nel tumore. In particolare, favoriscono l’infiltrazione delle cellule T CD8, le cellule responsabili dell’attivazione di quei meccanismi in grado di eliminare le cellule tumorali, aumentano l’espressione del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) sulle cellule presentanti l’antigene (APC), favorendo il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario, e riducono la frequenza delle cellule T regolatorie, che spengono la risposta immunitaria.

Il risultato finale è quello di trasformare il tumore da non immunogenico in immunogenico, aumentando l’efficacia sia della chemioterapia sia dell’immunoterapia.

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Nel setting dei pazienti con malattia localmente avanzata, lo studio PACIFIC, uno studio di fase III, in cui sono stati arruolati 713 pazienti in stadio III, non suscettibili di chirurgia, ha dimostrato che la terapia con Durvalumab, un inibitore di PD-L1, dopo un trattamento di chemio-radioterapia, riduce il rischio di progressione a 12 mesi del 48%, incrementando la sopravvivenza libera da progressione mediana di 3 volte rispetto ai pazienti che non ricevono durvalumab.

Questi risultati sono straordinari se pensiamo che la percentuale di pazienti in stadio III vivi a 5 anni è del solo 15%. Sulla base di questi dati, durvalumab è stato approvato dall’ente regolatorio del farmaco FDA nei pazienti con malattia localmente avanzata e che hanno completato il trattamento chemio-radioterapico. Attualmente, in Italia, è attivo un programma ad uso nominale che consente ai pazienti di ricevere durvalumab.

Nei pazienti con malattia metastatica, le novità principali derivano dagli studi in cui è stata valutata l’efficacia e la sicurezza della combinazione della chemioterapia con l’immunoterapia. Due sono gli studi che, probabilmente, modificheranno presto la strategia terapeutica di prima linea dei pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule, lo studio KEYNOTE-189, recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, e lo studio KEYNOTE-407, recentemente presentato all’ultimo congresso ASCO.

Lo studio KEYNOTE-189 è uno studio di fase 3, disegnato nei pazienti con adenocarcinoma del polmone, con l’obiettivo di dimostrare che il pembrolizumab in associazione alla doppietta platino-pemetrexed aumenta la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione rispetto alla sola chemioterapia.

Sono stati arruolati 616 pazienti da Febbraio 2016 a Marzo 2017, stratificati sulla base dello stato di espressione del PD-L1. Il disegno dello studio prevedeva che nei pazienti randomizzati nel braccio della sola chemioterapia fosse permesso il cross-over a pembrolizumab al momento della progressione. Dopo un follow up di circa 12 mesi, i risultati hanno dimostrato che la combinazione chemioterapia – pembrolizumab aumenta in modo significativo la sopravvivenza globale, riducendo il rischio di morte del 51%, e raddoppia la sopravvivenza libera da progressione che passa da 4.9 mesi a 8.8 mesi. Tale vantaggio non è dipendente dall’espressione del PD-L1, essendo la combinazione efficace in tutti i sottogruppi (PD-L1 < 1%, PD-L1 tra 1%-49% e PD-L1≥50%). Inoltre, è stato osservato un netto incremento delle risposte obiettive.

Simili sono i risultati dello studio KEYNOTE-407, uno studio di fase 3, disegnato nei pazienti con istologia squamosa. Nello studio sono stati arruolati 559 pazienti, stratificati sulla base dell’espressione del PD-L1, e randomizzati tra chemioterapia con carboplatino-paclitaxel (o nab-paclitaxel) e pembrolizumab verso la sola chemioterapia. Anche questo studio ha dimostrato il netto incremento della sopravvivenza globale, della sopravvivenza libera da progressione e della percentuale di risposte obiettive della combinazione rispetto alla sola chemioterapia. Anche in questo studio, il vantaggio è risultato indipendente dall’espressione del PD-L1.

I risultati di questi due studi pongono nuove domande: se è chiaro che la combinazione determina un vantaggio significativo nei pazienti con PD-L1 assente o < 50%, resta da chiarire chi sono i pazienti con PD-L1≥50% che possono essere trattati con il pembrolizumab in monoterapia o che richiedono la combinazione. Sebbene entrambi gli studi hanno dimostrato che anche questi pazienti beneficiano della combinazione, il rischio potrebbe essere quello di un sovratrattamento in alcuni casi.

Un’altra novità nello scenario terapeutico deriva dalla possibilità di utilizzare una terapia di combinazione con due farmaci immunoterapici, nivolumab e ipilimumab. Lo studio CA-227 è uno studio di fase 3, che ha valutato l’efficacia della combinazione di nivolumab+ipilimumab verso la chemioterapia di prima linea nei pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule. Obiettivo dello studio era dimostrare il vantaggio di nivolumab+ ipilimumab in termini di sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con alto tumor mutational burden e la superiorità della combinazione in termini di sopravvivenza globale nei pazienti con PD-L1≥1%.

I pazienti sono stati stratificati sulla base dell’espressione del PD-L1 (<1% o ≥1%). Nei pazienti con PD-L1 < 1% è stato inserito un altro braccio di trattamento che prevedeva la combinazione di chemioterapia a base di platino + nivolumab.

Per tumor mutational burden si intende il numero di alterazioni molecolari identificate nel tessuto tumorale. Per valutare il tumor mutational burden bisogna analizzare circa 300 geni. Questa valutazione si esegue tramite next generation sequencing, una metodica che consente di caratterizzare più geni contemporaneamente. Avere un alto tumor mutational burden significa avere un tumore che genera più antigeni che, quindi, hanno una maggiore probabilità di stimolare il sistema immunitario. Lo studio CA-227 ha dimostrato che la combinazione di nivolumab+ipilimumab, attualmente registrata nei pazienti con melanoma, determina un netto aumento della sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con alto tumor mutational burden rispetto alla chemioterapia. Questo dato è indipendente dall’espressione del PD-L1. Non sono ancora maturi i dati della sopravvivenza globale.

All’ultimo congresso ASCO, sono stati presentati i risultati di uno degli end point secondari dello studio, vale a dire la sopravvivenza libera da progressione nel sottogruppo di pazienti con PD-L1<1%, sottoposti a chemioterapia con platino+nivolumab. L’associazione è risultata più efficace della sola chemioterapia, come già dimostrato dagli studi KEYNOTE-189 e KEYNOTE-407. Inoltre, nei pazienti con alto tumor mutational burden, la combinazione di nivolumab+ipilimumab prolunga la sopravvivenza libera da progressione rispetto all’associazione chemioterapia+nivolumab, ampliando le possibilità terapeutiche.

Ad oggi, il tumor mutational burden non è ancora entrato nella pratica clinica, ma ci sono grossi sforzi da parte dei clinici e delle aziende perché diventi presto uno strumento diagnostico a cui i pazienti possano accedere.

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dr. Chiara Lazzari
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